mercoledì 21 agosto 2013

Moscone



Un bagno grande, con una grande finestra a vetro smerigliato da un lato e la porta diametralmente opposta.

Ore 11: Entro e noto che un grosso moscone svolazza impaziente per tutta la stanza alla ricerca di chissà che cosa.
Di un’uscita, penso io, per cui quando me ne vado lascio la porta aperta e la sua via di fuga ad un palmo di ala.

Ore 14: rientro per prendere delle cose e il moscone è ancora lì, sempre più impaziente sbatacchia sulla finestra con la forza di chi, pur con le sue piccole dimensioni, vuole sfondare il vetro.
Gli apro la finestra, mi spiace vederlo così, ed uscendo chiudo la porta, in modo che non si possa perdere nei meandri della casa, ma che trovi la via per scappare dalla sua prigione.

Ore 18: se ne sarà andato? Mi chiedo. Riapro la porta, ma lui è ancora lì ed invece di uscire sbatacchia sul vetro. Che sciocco, gli basterebbe guardare 5 cm più in là e troverebbe la sua strada. Come parlassi con qualcuno gliela indico, ma lui non mi sta ad ascoltare e si posa sul vetro quasi a dispetto.
Me ne vado e lascio aperte sia la finestra, sia la porta.

Ore 21: tutto tace. Se ne sarà andato, alleluia, con tutte le vie d’uscita che gli ho lasciato.
E invece no. Non era uscito. Era lì, ancora, posato sul muro probabilmente a domandarsi da dove poter uscire.

Anche le persone fanno così.
Non importa quante vie d’uscita tu indichi loro, devono trovarla da sole.

Vorrei aiutarlo, quel moscone, ma non posso. Solo lui può farlo. 
Come le persone, penso io, che alla fine devono volere davvero uscire per poterlo fare.

Ok, chiudo la finestra e me ne vado. Faccia come vuole.


Credo che ce l’abbia fatta da solo, ora.

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