lunedì 9 febbraio 2015

Cuori Accesi, Occhi Luminosi


Oriana Fallaci diceva: 
"L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subir ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. 
L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci."

Io credo che in parte avesse ragione: l'abitudine si radica in noi e ci rende ciechi. 
Ma in parte aveva torto, perchè la medicina che ci può guarire dalla cecità dell'abitudine esiste ed inizia con la Consapevolezza. 
Che c'è di più.
Che sono di più.
Che posso ottenere di più.
Che merito di più.

Ieri ne ho avuto l'ulteriore conferma. 

Ho organizzato un piccolo evento di  una giornata, che per semplicità definirò di riscoperta di sè, a cui hanno partecipato una ventina di persone.
Abbiamo affrontato i temi importanti della Libertà Emozionale e dell'Acqua Kangen, che aiuta il corpo a stare meglio. 
Mens sana in Corpore sano, appunto.

La cosa meravigliosa è che, al momento di andare a casa, le persone avevano occhi accesi ed occhi luminosi e sai perchè?
Perchè si sono ''nutriti''.
Ed io con loro.

Il nutrimento migliore consiste in buoni pensieri e buona compagnia.
Frequentare persone positive, parlare di cose positive, sentire che è possibile riautorizzarsi ad essere felici. 
Semplice a dirsi, Difficile a farsi.

Dobbiamo nutrirci positivamente, mente e corpo.... o saremo portati a pensare che Oriana Fallaci aveva ragione.

Tu da che parte stai?

Buona settimana, Artista della Vita!

mercoledì 20 agosto 2014

Scusami Robin. Lettera ad un uomo.

Scusami Robin.

Posso chiamarti Robin, vero? In un mondo di persone che si rivolgono a te come se ti conoscessero da sempre mi permetto di chiamarti semplicemente così. Robin.

Credo che quando sei morto alla fine conti poco, anzi. Credo proprio che i vari titoli vadano a  decadere. Signor? Professor? Dottor? Attor? È davvero così importante?

Il suicidio è una brutta bestia che crea sempre opinioni molto divergenti: c’è chi invoca l’umana indifferenza verso una presunta depressione, chi invece inneggia alla mancanza di coraggio di chi non ha la forza di rimanere qui ad affrontare i propri fantasmi.

In ogni opinione è intrinseco un giudizio, uno spicchio delle proprie esperienze di vita e non ti nego che quando ho saputo come te ne eri andato un po’ ci sono cascata anche io. È riaffiorato in parte il ricordo di quella mia amica che 19 anni fa ha fatto la stessa scelta, davvero uguale alla tua, e al dolore incommensurabile che ho provato.
Una parte di me ha gridato l’ingiustizia per la sofferenza di chi hai lasciato, magari senza perché: la tua famiglia. Suppongo che loro conoscessero davvero, almeno in parte, chi eri. Quell’affetto interrotto o negato mi è sempre suonato straziante, da chiunque provenisse.

La cosa davvero buffa è che, se guardi bene, nell’immaginario comune è un po’ come se fosse morto Peter Pan o se se ne fosse andato il professore de ‘’L’attimo fuggente’’ o se il gesto fosse stato compiuto da Patch Adams in persona o se Mork fosse improvvisamente davvero tornato da dove veniva.

Ma credo che in un mondo dove vieni confuso con quello che fai sia più importante quello che sei: un uomo, con pregi e difetti. E il solo fatto di essere un uomo non rende nessuno né meglio né peggio di nessun altro.
Succede anche a noi, che non siamo famosi, di indossare una maschera o di venire confusi con le nostre mansioni o con i nostri ruoli, figuriamoci a chi indossa una maschera per professione.

Per questo a me dispiace a prescindere per il tuo gesto che è il gesto di un uomo. Non mi interessa se eri famoso o no. Non mi interessa se eri drogato. Non mi interessa se dal di fuori sembravi avere tutto. Non mi interessa se hai inventato la stand up comedy.
Ci hai regalato molto in questi decenni e sappiamo che i regali non si possono restituire, perché rimangono a chi li riceve: tutti noi. E sempre saranno con noi e dentro di noi.

Grazie per questi regali, Robin, ovunque tu sia.


Su chi fosse davvero l’uomo, se si sia pentito, che cosa davvero pensasse o provasse… a noi, che non lo conoscevamo, non è dato sapere.

lunedì 24 marzo 2014

COME OTTENERE QUELLO CHE AMI E DESIDERI

Il mio articolo pubblicato su formazionesalerno.com il 04/03/2014.
Buona lettura!



COME OTTENERE QUELLO CHE AMI E DESIDERI

Ogni tanto mi soffermo a pensare a come ero qualche anno fa.
Ero sempre io, Myriam, ma avevo molta paura.
Una paura tremenda di quelle che ti paralizzano. Il mio motto era “aspettati il peggio per godere del meglio”. Terribile.
Non giudico quella che ero, ma provo molta tenerezza perché la Myriam di allora non sapeva quello che stava perdendo: non controllavo la mia vita e la mia vita controllava me. Mi accontentavo di quello che mi arrivava in maniera passiva. Probabilmente pensavo di non meritare di meglio.Molte persone fanno così, vivono nel timore che proprio per questo si accontentano di quello che hanno anche se si sentono infelici.
Il punto di partenza per cambiare la propria vita è una domanda: posso ottenere qualcosa di diverso pensando in maniera diversa e quindi facendo cose diverse?
La risposta è sempre si.
Se ti soffermi sull’individuare qual è il primo scoglio da affrontare, ti accorgi che sei proprio tu.
Nell’arco della tua vita è molto probabile che tu ti sia abituato alla realtà anche se scomoda e ti suggerisco già da subito un primo esercizio per incominciare a cambiare la tua realtà mettendola in discussione.

CONCETTO BASE: SARA’ VERO QUELLO CHE PENSO?

Prendi un foglio e dividilo in due parti uguali. A sinistra scrivi i tuoi pregi, tutti, anche quelli che sembrano più banale del tipo che ti sai allacciato le scarpe con facilità, mentre a destra compila la lista di quelli che pensi di essere i tuoi difetti.
Quella che hai appena compilato rispecchia l’immagine che hai di te. In qualche modo è una tua fotografia.

Ora scrivi che cosa penseresti se tu conoscessi una persona con quelle caratteristiche:
  • Penseresti che sia una persona valida?
  • Ti fideresti di lei?
  • Ti sarebbe simpatica?
  • Che cosa le potresti dire se le potessi parlare liberamente?

Con questo primo esercizio puoi cominciare a conoscerti un po’ meglio toccando con mano che la percezione che hai di te può essere diversa da quella che è in realtà eppure ogni giorno ti comporti come se fosse l’assoluta realtà.
Buon lavoro verso la conoscenza di te!

domenica 23 marzo 2014

OGGI NON E' PIU' LA FESTA DEL PAPA', MA E' COME SE LO FOSSE

Vi voglio fare davvero un regalo oggi Artisti dell'Anima: è un post tratto dal blog marikalopa.wordpress.com. 
Certamente siete liberi di andarlo a leggere in originale, ma dato che so che l'animo umano ogni tanto è un po' pigro ho deciso di fare in modo che non doveste andare a cercare nulla. Perchè? Perchè è proprio bello e toccante e non posso perdere questa occasione per permettere al vostro cuore di vibrare. 
E' così bello quando vibra. 
Che siano palpiti o sussulti... ma che vi possiate sentire VIVI! 
E anche se è un post mascherato da recensione cinematografica, sappiamo che non sempre le cose sono come appaiono... 
Buona lettura Artisti dell'Anima. 
E che vi vibri il cuore.... 
Myriam

OGGI È LA FESTA DEL PAPÀ

C’era una volta, e c’è ancora, un papà di nome Mr Banks.
Mr Banks è un uomo molto serio e severo con i suoi figli; ogni giorno si reca in Banca, dove lavora, integerrimo.
Mr Banks è immortale, poiché vive fra le pagine di un libro, e che libro:  Mary Poppins, il classico per ragazzi che ha fatto sognare e divertire generazioni di bambini e di adulti, fino ad essere portato sul grande schermo da Walt Disney dopo 20 anni di corte alla sua autrice, P.L. Travers.
Nel film “Saving Mr Banks” ci viene svelato per quale motivo a Walt Disney siano occorsi 20 anni per convincere la Travers a cedergli i diritti per realizzare il film.  Troppo incentrato sul personaggio di Mary Poppins e sulla sua stessa autrice, il buon Walter non si rende conto di chi sia il vero protagonista della storia: Mr Banks, che per tutto il libro viene descritto dalla Travers come un PAPA’: un papà bancario, un papà severo, autoritario, chiuso in sé stesso, solo, ma pur sempre, in primis, un PAPA’.
Il carattere spigoloso dell’autrice, così diverso da quello di Mary Poppins, spinge Walt Disney a chiedersi in cosa stia sbagliando. Egli intuisce che Mary Poppins è un alter ego della Travers, per questo gli sembra incredibile la sua ostinazione a negargli i diritti del romanzo: sa che creare un film renderebbe felici migliaia di piccoli.
“Perchè fa così, proprio lei che ha mandato una tata volante a salvare dei bambini?” Le chiede, esterrefatto.
Alché lei risponde:
“Bambini? Ah , quindi lei crede davvero che Mary Poppins sia venuta a salvare i bambini, signor Disney?”
Immagine
La domanda è: chi viene a salvare Mary Poppins, se non i bambini?
Eppure l’infanzia burrascosa della Travers è un vortice di emozioni, di ricordi legati a quel padre che, lei invece, avrebbe voluto salvare dalle sue fragilità e dipendenze. Per questo, nel personaggio di papà Banks c’è ben poco di fiabesco: è il più umano di tutti, il più esposto alle rigidità dell’ambiente circostante, delle responsabilità, della società bancaria che lo avvolge in un bozzolo di ricerca di denaro e conseguente solitudine. E’ il papà della Londra di allora, ma anche del frenetico mondo di oggi, dove da ogni uomo ci si aspetta la forza di una roccia, per la società e per la famiglia. La forza di un padre è considerata scontata in quanto uomo. Ma nei bambini rimane profonda l’ammirazione per il proprio padre, mista ad un innato senso di tenerezza quando lo si percepisce in difficoltà e si assiste, impotenti perché troppo piccoli per aiutare, alle eventuali sofferenze che la vita gli riserva. Oggi è la festa del papà, che prima di tutto è un uomo e prima ancora un essere umano. La tenerezza che lo lega ad un figlio, è pura poesia.
Grazie per la lettura, Fiori.

marikalopa.wordpress.com

martedì 18 marzo 2014

Comunicazione Assertiva per principianti
http://www.piuchepuoi.it/corso/comunicazione-assertiva-per-principianti/?ap_id=pcp_172


Un collega ti sminuisce durante una riunione.
Tu vorresti controbattere con le parole giuste, con la giusta misura….. ma non lo fai (ovviamente dentro di te gliene stai dicendo di ogni…).

Oppure un tuo amico continua a ripeterti la stessa cosa al telefono per 30 minuti.
Tu vorresti elegantemente chiudere ma non ci riesci….. e se ci riesci (perchè davvero hai da fare qualcosa che non può attendere oltre) lo fai in maniera sgarbata…

O il tuo vicino che ascolta a tutto volume musica heavy metal alle 3 di notte.
Cosa fai? Riesci a far rispettare i tuoi diritti senza al contempo invadere quelli degli altri?

No? Come no?
Se ti sei riconosciuto in una di queste situazioni o se te ne sono venute in mente altre simili, è estremamente probabile che ti manchi un po’ di assertività.
Nelle relazioni si tratta di un vero e proprio breakthrough, un punto di svolta.
E’ un passepartout per la libertà da dubbi e sensi di colpa
E’ la chiave per rendere costruttivi anche i rapporti più difficili.

Quando una persona assertiva dice qualcosa, per esempio, a nessuno viene in mente di metterla in discussione…
http://www.piuchepuoi.it/corso/comunicazione-assertiva-per-principianti/?ap_id=pcp_172

mercoledì 27 novembre 2013

Post impopolare: Lamentarsi può essere considerato uno sport?



Inaugurerei una nuova  specialità olimpica: le lamentele.
Possono essere divise anche in diverse specialità, come la lamentela in lungo, per esempio.
Conosco persone già candidate alla medaglia d’oro.





Non voglio fare la facilona o sottovalutare le problematiche della vita reale, ma non ho mai visto un problema risolversi a suon di lamentele. Giuro, mai.
Anzi, i problemi si nutrono di lamentele. A loro fanno bene, diventano più grandi, forti e granitici.
Sono invece allergici alle soluzioni. Tendono a sgonfiarsi e scomparire.
Per questo quando qualcuno mi sciorina difficoltà su difficoltà incolpando la vita, la società, la crisi, la mamma, il marito, la fidanzata etc io chiedo: ‘’E tu cosa stai facendo per risolvere la questione?’’.
Questo suona come una velata minaccia per il candidato olimpico alla categoria. Di solito strabuzza gli occhi, si erge all’indietro e risponde che ‘’tanto non c’è nulla da fare’’.
‘’E allora perché ti lamenti?’’ rispondo io  ‘’ se non c’è nulla da fare, tanto vale rassegnarsi e prenderne atto’’.
‘’Eh no, perché io non sto bene’’
‘’Ok, allora cambio domanda: cosa puoi fare da ora in poi per risolvere il tuo problema, a parte lamentarti?’’.

Seguono varie ed eventuali, da chi si accorge e comincia a pensare a chi, invece, voleva proprio solo mantenere la parte della vittima e se ne va, anche un po’ seccato.

Già, perché secondo me il diritto di lamentela sussiste solo nel ‘’working in progress’’, come sfogo, direi, per sgonfiare un po’ la pressione dello stress. E allora si, lì è ok. Ti ascolto.



È, però, un lusso che va perdendosi da parte di chi lo usa solo per versare veleno emotivo negli altri, giusto fino al prossimo carico/scarico. Come se le persone fossero dei momentanei bidoni dell’immondizia usa e getta.
A nessuno piace essere un bidone dell’immondizia, anche se questo permette a chi parla di sentirsi meglio. Nemmeno ai lamentoni, che di solito si lamentano pure delle persone che si lamentano sempre.




Tu su cosa ti focalizzi? Problemi o soluzioni?